Qualche settimana fa ho assistito alla proiezione del Villaggio di cartone di Ermanno Olmi.



Il film realizzato con pochi mezzi è ambientato in una Chiesa dismessa e nella attigua canonica, ultimo baluardo di un vecchio parroco.
Alla povertà della scenografia (quasi da palcoscenico improvvisato) si contrappongono immagini potenti ed inquadrature d’effetto.  Anche l’uomo di fede di fronte allo smantellamento sacrilego della Chiesa è solo e dubbioso e nella sua smarrita solitudine rivela tutta la sua umanità.

Alla fine il prete accetta il cambiamento fino alla disobbedienza civile contro le leggi ingiuste : accoglie infatti i migranti in fuga ed in nome della solidarietà offre loro un rifugio, scacciando sia gli uomini delle forze dell’ordine che quelli delle ronde.

Fra gli attori risulta molto credibile Michael Londsdale (Il nome della rosa, L’ultimo inquisitore) nella parte del religioso. Degna di menzione anche l’apparizione di Alessandro Haber a capo dello squadrone antimigranti.

La pellicola è una sorta di apologo che richiama alla coerenza ed alla difesa non solo a parole, ma anche nei fatti della giustizia e della carità, che ha più valore se è a rischio.  

Le motivazioni di Olmi non sono religiose,  bensì etiche e richiamano ad un codice di comportamento trasversale a tutte le religioni ed indispensabile e necessario al progresso dell’umanità.

Dopo aver visto il film, guardo con occhi diversi i venditori extracomunitari che ogni  giorno incontro per strada e mi risulta meno facile negare loro un piccolo aiuto, perché mi rendo conto di essere una privilegiata, poichè - anche se pure io devo fare i conti con la crisi economica - ho una casa, una famiglia, un lavoro e posso addormentarmi con qualche certezza.